di Alessandro Villa
Oggi, venerdì 14 novembre esce il nuovo singolo di Giuliana Triscari. Una canzone diversa dalle precedenti, che segna un ritorno a un suono più cantautorale e a una scrittura profondamente personale. L’abbiamo incontrata per parlare di musica, autenticità e sogni riaperti.
Giuliana, oggi esce “Un altro sbaglio”. Com’è nata questa canzone?
È una canzone a cui tengo moltissimo, forse più delle altre. Non solo perché nasce da una storia personale molto intensa, ma perché è rimasta fedele all’idea iniziale. È stata solo leggermente arrangiata, ma è quasi esattamente com’era nella mia testa. Per questo la sento molto vera, autentica, e rappresenta davvero chi sono. È nata dopo tre giorni particolari vissuti con una persona: avevo tante aspettative che poi sono crollate. E così è arrivato questo pezzo — malinconico, fragile, ma anche pieno di amore.
Rispetto ai tuoi singoli precedenti, sembra più intimo, più cantautorale. È così?
Sì, lo è. Anche perché è un ritorno a ciò che mi ha formata. Sono cresciuta con la musica d’autore: Masini, i Pooh, e tanti altri. È la mia radice, la mia casa. I singoli precedenti erano un po’ più pop ed elettronici, mi hanno portato fuori dalla comfort zone. Questo invece mi rappresenta totalmente, sia nel sound che nel testo.
C’è una frase del testo che senti più tua?
Senza dubbio: “A cosa è servita tutta questa strada, se alla fine non mi porta a te?”
È la frase da cui è nata tutta la canzone. Mi ha tormentata per mesi. Ma ora, col tempo, ha cambiato significato. Non parla più di quella persona, ma di me. Di quanto ho scoperto su me stessa proprio grazie a quella storia. Il percorso mi ha portato a conoscermi meglio, a capire che posso amare con tutta me stessa. Anche se fa male.
I tuoi testi sembrano sempre muoversi tra due estremi: delicatezza e forza. È un equilibrio cercato?
È un equilibrio spontaneo, che mi rispecchia. Io sono così: ambiziosa e fragile allo stesso tempo. Ho paure, ansie, come tutti, ma anche tanta determinazione. Questo si riflette naturalmente nella scrittura. E poi c’è una persona fondamentale in questo processo: Luca Napolitano. Con lui ho scritto e prodotto questi brani. È il mio specchio: riesce a leggermi e a tradurre in musica ciò che provo, senza snaturarmi. È un equilibrio che abbiamo trovato insieme.
Il progetto Enjoy You si rivolge a chi fa musica emergente. Cosa significa per te “emergere” oggi?
Bella domanda, ma difficile. Perché oggi in Italia siamo tantissimi a voler fare musica, a raccontarci. Ma quello che fa davvero la differenza, secondo me, è la capacità di condividere. Condividere un’emozione, un messaggio, un pensiero vero. Chi riesce a farlo — e a farlo arrivare — può emergere. Non solo chi ha più numeri o visibilità. Io credo ancora nella voce, nel canto curato, nello studio. Ma anche nella verità.
Qual è la cosa più difficile — e quella più bella — nel portare avanti un progetto artistico come il tuo?
La cosa più difficile? Crederci. Io ho firmato il mio primo contratto a 26 anni. In un mondo dove si inizia a 17, può sembrare tardi. La mia vita era già avviata, avevo altri progetti, e questa scelta è stata una scommessa. Ma oggi, a un anno di distanza, posso dire che è stato il salto giusto. Le persone mi ascoltano, si emozionano, mi capiscono. E questo è il regalo più bello.
Progetti futuri? Qualcosa che possiamo anticipare?
A dicembre aprirò il concerto di Rebecca Ferguson a Catania. È una data importante per me. Poi, nel 2026, uscirà un nuovo singolo, ancora diverso da questi tre.
Una conclusione per chi ascolta “Un altro sbaglio” per la prima volta: cosa vorresti che si portasse via?
Vorrei che sentisse il coraggio di amare. Anche quando non torna, anche quando fa male. Credo che viviamo in un’epoca in cui l’amore è un po’ anestetizzato, trattenuto. Io invece voglio raccontare che vale la pena rischiare. E che anche uno sbaglio, alla fine, può diventare una forma nuova di verità.





